Il Patrono di Formia S.Erasmo in quattro opere di Antonio Scotto che ha voluto riprodurre anche i luoghi che hanno interessato la vita di questo nostro Santo e Martire.
Raffaele Capolino
Il Patrono di Formia S.Erasmo in quattro opere di Antonio Scotto che ha voluto riprodurre anche i luoghi che hanno interessato la vita di questo nostro Santo e Martire.
Raffaele Capolino
I CRIPTOPORTICI SOTTO LA VILLA COMUNALE DI FORMIA
Un labirinto di quindici grandi ambienti di una domus di epoca romana del periodo repubblicano per un totale di 1.500 mq per ognuno dei livelli che, molto probabilmente, non dovevano essere meno di tre.
Da un epigramma di Marziale ( 40 d.C – 104 d.C.) possiamo ipotizzare che sia appartenuta ad Gneo Domizio Apollinare, Console suffetto nel 98 d. C.
Il Console suffetto era, in pratica, il console supplente abilitato a sostituire il console titolare nei periodi in cui quest’ultimo, per qualsiasi ragione, fosse impedito a svolgere la sua funzione assegnatagli dal Senato di Roma.
È ovvio che Apollinare non possa essere stato il primo proprietario di questa villa marittima che come già detto, dallo stile delle opere murarie, risale al precedente periodo repubblicano.
Marco Valerio Marziale, invitato da Apollinare, trascorse nella Domus sovrastante a questa struttura una giornata di “otium” e se ne torno’ a Roma talmente entusiasta che scrisse l’epigramma X, 30 dal titolo :
O temperate dolce Formiae litus….
Un inno alla bellezza di Formiae romana scritto da Marziale che deve aver frequentato spesso i nostri luoghi se aveva potuto conoscere anche Silio Italico che era diventato proprietario della domus appartenuta a Cicerone.
La ” domus ” di questo articolo aveva davanti a sé una struttura a mare di ben 1800 mq ad uso allevamento di pesci.
Gli ambienti al piano terra erano usati sia per lo stoccaggio di materiali di qualunque tipo, sia come alloggi per servi e schiavi.
La foto della planimetria della ” Piscina ” è l’ultima immagine.
Foto di Fausto Forcina scattate circa cinque anni fa.
Raffaele Capolino
JOHANN JOACHIM WINKELMANN E LUIGI VANVITELLI PARLANO DEI NOSTRI LUOGHI
WINKELMANN
Nella sua lettera del 7 agosto 1767 , indirizzata al ministro tedesco Hermann Von Riedesel ( 1740 – 1785) , il famoso Archeologo J. Winkelmann ( 1717 – 1768) parla di un suo viaggio da Roma a Napoli e accenna alle difficoltà del percorso:
“”Quanto al passaggio delle paludi pontine ,che dura circa 10 ore , ho già disposto tutto e alla metà del viaggio sarò trattato a pesci freschi “”
Il riferimento è ben preciso. È a Mola di Gaeta, oggi Formia, che Winkelmann avrebbe pranzato con pesci freschi !!!!!
In un’altra lettera precedente 4 agosto 1767 sempre diretta al Riedesel scrive :
“”” La mia partenza è così certa come il fato per la fine di settembre , e per questa ragione cercherò di andare per le paludi fino a Terracina e di là a cavallo o a piedi fino a Mola di Gaeta per evitare Fondi : il morboso aere di Fondi. “””
LUIGI VANVITELLI
Luigi Vanvitelli ( 1700 – 1773) , l’architetto che costrui’ la Reggia di Caserta, in una lettera del 23 giugno.1752 indirizzata a suo figlio malato e a suo fratello Urbano, che si apprestavano a intraprendere il viaggio da Roma a Caserta, scrive testualmente:
“””” A Fondi non dovete dormire , perché l’aria è pessima. Avvertite per strada di prendere sempre antidoti per l’aria cattiva , perché in Regno di Napoli l’aria è burla assai più che in Roma , e ciò nasce dal maggior caldo e solfo che vi è . “””
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Insomma questi due grandi personaggi storici ci fanno sapere che il viaggio terrestre da Roma a Napoli , e viceversa, non era per niente facile nel ‘700.
Le paludi pontine a nord e la solfatara del Puteolano a sud , erano considerate zone di elevata pericolosità dal punto di vista sanitario .
Al contrario, il territorio intermedio del nostro golfo ha rappresentato da sempre – fin dai tempi di Orazio – un’area geografica con ottima qualità climatica ed ambientale.
Cerchiamo, pertanto , di aver sempre più cura del nostro meraviglioso ambiente che, dal Buon Dio, ci è stato donato ” aggratis ” , come direbbe Philippe Daverio che , purtroppo, è salito al cielo prematuramente.
Raffaele Capolino
CRONACHE DI FORMIA DA UN MANIFESTO DI QUASI CENTO ANNI FA.
La lettura di questo manifesto senza data conservato nel fascicolo XII – 28 dell’Archivio storico Comunale ” Franco Miele ” , ci da l’occasione di parlare di alcuni personaggi di Formia dello scorso secolo.
Il testo , firmato dal Direttorio del ” Partito Nazionale Fascista ” Fascio di Formia e riferibile agli anni venti del secolo scorso , è una forma di protesta contro l’Amministrazione socialista Beneduciana.
Preannuncia altresi un testo da inviare a mezzo telegramma a S.E. Benito Mussolini.
Viene considerato ” gesuitico ” ( una parola di quei tempi con significato di: ipocrita ) l’atto di conferimento della cittadinanza onoraria al Duce da parte del Comune di Formia .
Una maggioranza socialista che faceva capo alla corrente diretta da Alberto Beneduce , voto’ questo atto, ma in assenza di due importanti “capitamburi” delle fazioni locali come il Dottor Giuseppe Paone e Mario Magliocco , pur entrambi quel giorno presenti a Formia.
Chi era Alberto Beneduce e chi era Giuseppe Paone?
Alberto Beneduce ( 1877 – 1944) socialista originario di Caserta , pur contrario al fascismo , fu consigliere economico di Benito Mussolini fin dai primi anni di governo e fu il creatore dell’ I.R.I. e dell’I.M.I. .
Fu grande conoscitore e geniale manovratore dei meccanismi finanziari, ma strano e bizzarro nella sua vita .
Sposato con Noemi Cateni ebbe cinque figli , che non fece battezzare. Alle prime tre figlie dette nomi mai imposti fino ad allora ad esseri umani, gli ultimi due ebbero nomi comuni , forse per un sopravvenuto e forte senso di colpa per gli assurdi nomi imposti alle prime tre nate.
Ecco i nomi dei cinque figli di Alberto Beneduce:
1 – Idea Nuova Socialista , che andò in sposa ad Enrico Cuccia nel 1939
2 – Italia Libera , che fu moglie di Remigio Paone , nostro concittadino e figlio di Giuseppe Paone , consigliere comunale sopra citato.
3 – Vittoria Proletaria
4 – Ernesto
5 – Anna
Alberto Beneduce fu deputato, ministro del lavoro e quando nel 1939 venne nominato Senatore del Regno lasciò la presidenza dell’IRI.
Nel 1936 dovette lasciare la politica per via di un ictus, per cui affidò a Mussolini suo genero Enrico Cuccia allora fidanzato con la prima figlia , Idea Nuova Socialista.
Dal 1937 e fino a pochi decenni fa , Enrico Cuccia fu il re dell’economia Italiana , guidò IRI – IMI e Mediobanca .
Quindi Il nostro Remigio Paone ( 1899 – 1977) anch’egli socialista , amico di Pietro Nenni e mai fascista , fu genero di Alberto Beneduce e cognato di Enrico Cuccia ( 1907 – 2000) , uno dei più grandi della Finanza italiana nel dopoguerra.
Torniamo al nostro manifesto degli anni venti del secolo scorso.
Il Direttorio ,con un telegramma diretto a Mussolini, fa presente che l’Amministrazione Beneduciana non ebbe neppure il buon senso di esporre la Bandiera d’Italia in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria al Duce.
Il manifesto che è in sostanza una denuncia di ” sgarro ” al Duce , conclude con il testo del telegramma da inviare al Primo Ministro Benito Mussolini con il grido-inno finale “ALALA’ ” ideato da Gabriele D’Annunzio:
” Fascio e Sindacati …………… Le conferiscono essi, consenso unanime popolo , cittadinanza Formia bella erede Roma. Alala’ . IL DIRETTORIO “
Raffaele Capolino
LA MIA PRIMA VISITA AL CISTERNONE ROMANO DI CASTELLONE
Avvenne negli anni ’50 del secolo ed avevo 7/8 anni
Prima degli anni ’50 , nessuno a Castellone sapeva dell’esistenza di una cisterna sotterranea, ma noi ragazzi del quartiere di S. Anna qualche cosa avevamo intuito.
Lasciando cadere dal foro di un tombino di ferro sulla strada di Via della Torre, pietre grandi come una noce, sentivamo il tonfo nell’acqua dopo un bel po’ di secondi.
Pensavamo ci fosse un pozzo o qualcosa del genere.
Mai potevamo pensare che stavamo giocando sopra una cisterna di epoca romana di 1.200 metri quadrati.
Un giorno, mentre giocavo in piazza S.Anna con i miei compagni, sentii un gran vociare proveniente dal Vico detto “Carbone “, precisamente dalla piazzetta che affaccia verso la stazione.
Un gruppo di donne alquanto agitate e preoccupate , a gran voce alta ripetevano spesso le parole: ACQUA e MARE .
Io e i miei compagni ci precipitammo nella piazzetta dove c’erano più persone , entrammo in una casa a pianterreno in corso di ristrutturazione.
Era la casa della gente dei ” Ram Ram “, come si dice a Castellone,
dove c’era una parete con un foro abbastanza grande per permettere il passaggio di una persona.
Dalle voci intuii che altre persone erano già dentro e così mi infilai pure io, incuriosito e non sapendo cosa avrei visto.
Scesi per una scarpata di calcinacci e arrivai in un posto più profondo e più agevole per stare in piedi.
Non mi fu più possibile continuare perché mi accorsi di avere i piedi nell’acqua. Adesso so che ero sceso ad oltre dieci metri sotto l’attuale Piazza del Castello .
Si riusciva a vedere , anche se con molta difficoltà, grazie alla luce che penetrava dal foro di entrata.
Rimasi stupito nel vedere una selva di pilastri e numerose arcate e poi tanti calcinacci e tanta acqua e ancora pilastri, arcate , calcinacci e ancora acqua.
L’ambiente era grandissimo e , soprattutto , appariva indefinibile nelle dimensioni. C’erano spazi enormi che andavano in diverse direzioni.
Oltre me c’erano non più di dieci persone.
In fondo a destra , lato nord-ovest, c’era un lago enorme che dava l’impressione di essere molto profondo.
Ad un certo punto, con mio grande stupore , vidi arrivare verso di me una barchetta con tre persone a bordo. Uno di loro aveva una lanterna.
Riconobbi in uno dei tre, Quintino , il papà di Augusto Ciccolella.
Era stato più veloce di me ad entrare prima con due suoi amici.
Mi meravigliai tanto per la presenza di una barca in un luogo dove ,tra l’altro, il foro di entrata non ne avrebbe consentito l’ingresso.
Quintino e i suoi amici tirarono la barca sui calcinacci, ci fecero uscire tutti , me compreso, e dall’esterno chiusero il foro con alcune tavole.
La sera , a casa, raccontai ai miei le cose che avevo visto, ma quando parlai della barca mi accorsi che mi guardavano con aria preoccupata.
Il giorno dopo vidi mia madre più serena, capii che era andata da Quintino a farsi confermare i fatti da me narrati.
Quintino, all’epoca , aveva una trentina d’anni ed era titolare di una cantina, proprio sotto la Chiesa di S.Anna, per la vendita di vino, bibite e ghiaccio .
La cantina era in pratica a pochi metri dalla casa dei miei genitori .
Dopo vari anni lessi il racconto di Pasquale Mattei, scritto nel 1860, e rimasi stupito dal suo contenuto:
“……….il signor Giuseppe Paone con vari muratori, discese nei sotterranei di Castellone ……………fece scendere laggiù una barchetta e per questo mezzo poté giungere …………….sotto la casa dei sigg.di Pecorini…………”
Anche il Podestà di Formia Felice Tonetti , intorno al 1930, vi scese con una barca.
In pratica venni a sapere , leggendo libri storici su Formia, che il papà di Augusto dopo quasi cento anni, in quel giorno da me sopra narrato , aveva utilizzato la stessa barca menzionata, in una narrazione storica, da Pasquale Mattei nostro illustre concittadino, nato proprio a Castellone, oppure la stessa barca usata dal Podestà Felice Tonetti.
Ho conservato questo bel ricordo nella mia mente e, come lo racconto a voi adesso, così l’ho narrato più volte ai miei figli.
Chissà se Augusto Ciccolella dal suo papà avrà mai sentito questa storia!!!!!
Raffaele Capolino
UN VICOLO DI CASTELLONE – FORMIA
DUE CAPITELLI DI FORMIAE ROMANA IN STILE “CORINZIO “
Furono trovati nei primi anni degli anni ’50 del secolo scorso in un giardino di Formia in Via Rubino , il tratto viario urbano che si sviluppa sulla Via Appia Antica .
I due imponenti reperti , entrambi con decorazione in foglie di acanto e con altezza di circa cm 80 , dovevano far parte di un unico grande tempio di epoca romana.
I due capitelli sono noti alla Soprintendenza dei beni archeologici che, come previsto dall’art 92 del “Codice dei beni culturali “, li ha lasciati in custodia a colui che li rinvenne nella sua proprietà e li dichiarò alle competenti autorità.
A Formia sono moltissimi i reperti archeologici lasciati in custodia di coloro che li hanno rinvenuti con immediata informativa agli organi competenti.
Ma sono, purtroppo, anche tantissimi quelli non dichiarati, di cui la Soprintendenza, ovviamente, non sa nulla.
Ciò che rende ancora più complicata la ricostruzione della storia plurimillenaria della nostra città di Formia.
Raffaele Capolino
UN EDITTO DEL 150 d.C. (circa) DELL’IMP. ANTONINO PIO SULLA PESCA NEL MARE DI FORMIA.
Articolo rivisto e modificato
Una novità su questo editto di cui ho parlato più di una volta in passato.
Alcuni studiosi pensavano di leggere ” cajetanis” al posto di “capenatis”.
Ma ho potuto finalmente appurare che questi studiosi presero un abbaglio.
L’editto interessava esclusivamente pescatori ” formianis et capenatis”.
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Questo è l’editto di Antonino Pio :
” Nemo igitur ad litus maris accedere prohibetur piscandi causa , dum tamen ullius et aedificiis et monumentis abstineatur, quia non sunt iuris gentium sicut et mare : idque et divus Pius piscatoribus formianis et capenatis rescripsit “
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L’editto riguardava due aree geografiche : l’intero ” Sinus Formianus ” e l’area marina tirrenica a nord del Tevere abitata, da sempre, dall’antico popolo dei Capenati.
L’editto fu reso necessario da tensioni tra pescatori e proprietari di ville in Formia , che volevano che i pescatori si mantenessero lontano dalla costa e dalle piscine di allevamento.
Eguali situazioni devono essersi create nell’area tirrenica a nord di Roma, abitata in epoca preromana da popoli “capenati”.
Ciò che aveva determinato liti giudiziarie per cui l’imperatore Antonino Pio preciso’ i termini della questione nel modo che segue:
La traduzione dell’editto di Antonino Pio:
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” A nessuno dunque è proibito accedere alla riva del mare per pescare, purché si tenga lontano dalle ville, dagli edifici e dai monumenti, perché questi non rientrano nel diritto delle genti , come il mare: e così il divino Pio riscrisse per i pescatori Formiani e Capenati “.
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Altre disposizioni stabilirono altresì :
” A mare chi pesca può erigere sul litorale una capanna provvisoria dove potersi riparare “
E ancora :
“L’aqua profluens” non sarà mai di nessuno, come le spiagge che hanno un’estensione variabile , dipendente dal flusso marino e che sono libere “
Insomma , duemila anni fa , i romani ne sapevano più di quanto ne sappiamo noi oggi sull’uso delle sorgenti, delle spiagge, sulla pesca costiera e sui rapporti di convivenza tra pescatori e proprietari di ville a mare.
Raffaele Capolino
II ^ CAMPAGNA ARCHEOLOGICA NELLE ACQUE DEL MARE DI FORMIA
Fu effettuata nel 1978 dal Gruppo subacqueo F.I.A.S. di Torino.
I risultati sono rimasti fissati dalle foto allegate tratte dal ” Fondo Pier Giacomo Sottoriva ” presso l’archivio Storico di Formia.
Ritengo che tutto il materiale rinvenuto sia conservato nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Formia.
Se questo è stata la ll^ Campagna archeologica subacquea, vuol dire che in anni precedenti a Formia ne abbiamo avuto un’altra di cui, purtroppo, non ho fino ad oggi trovato tracce.
Dallo stesso Fondo è venuta fuori una “Documentazione Fotografica dei Fondali” dell’area interessata dal nuovo porto turistico di Formia a cura dell’Associazione ” Fotosub d’Italia – Minturno “.
Chissà quanti tesori archeologici sono ancora nascosti sotto le acque del nostro “Sinus Formianus”.
In proposito , è cosa nota che , nelle vicinanze di uno dei moli dei nostri porti, c’è una nave romana con tutto il suo carico che le autorità archeologiche , con opportuni interventi protettivi , hanno voluto preservare da atti sciagurati.
La ricerca delle immagini del presente articolo e’ avvenuta con la collaborazione di Gabriele D’Anella e Saro Ricca.
Raffaele Capolino
18 MAGGIO 1944
FINE OCCUPAZIONE NAZIFASCISTA
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Una data che i Formiani non potranno mai più dimenticare.
Settantasette anni fa avvenne la liberazione di Formia dal nazifascismo, ad opera degli alleati.
I nostri padri e le nostre madri si ritrovarono a dover ricostruire tutto, iniziando dalle loro case per la maggior parte ridotte in macerie.
Fu necessario ripristinare con tutta urgenza, gli impianti di distribuzione delle acque potabili, le fogne, le strade, nonché avviare la ricostruzione di scuole, chiese, edifici pubblici, linee ferroviarie, ponti, impianti portuali ed altro.
A Formia, quasi interamente distrutta, ci furono 1567 deceduti e oltre 1000 tra dispersi e invalidi.
Eppure i nostri padri riuscirono a riprendersi.
La storia ci insegna che la Città di Formia è sempre risorta da ogni catastrofe.
Raffaele Capolino