LA STORIA DEL REPERTO ROMANO DI FORMIA CHE SI TROVA A MANTOVA

LA STORIA DEL REPERTO ROMANO DI FORMIA CHE SI TROVA A MANTOVA

È cosa nota che il popolo formiano dedicò all’Imperatore Antonino Pio non meno di tre “marmi” con iscrizioni e menzione di opere pubbliche fatte eseguire nella Formiae romana durante il suo mandato da imperatore di Roma.

Il primo dei tre marmi è una lastra conservata al Museo archeologico di Mantova ex Museo Reale Accademia.

Il principale protagonista di questa storia che sto per narrare è Vespasiano Gonzaga ( Fondi 1531 – Sabbioneta 1591), nipote di Giulia Gonzaga (1513 – 1566) che lo adotto’ e lo educo’ dopo la morte della madre.
Ricordiamoci che il borgo di Castellone fece parte del Contado di Fondi dal 1134 fino al 1503.

Vespasiano eredito’, dal nonno Ludovico, la città di Sabbioneta che trasformò in Ducato arricchendolo con 2.500 reperti antichi ed affreschi con immagini di storia di Roma.

La maggior parte dei suddetti reperti furono acquistati ,tra il 1579 e il 1584 , a Roma e nei suoi feudi nel Regno di Napoli essendo diventato dopo la morte della madre, Conte di Fondi e Duca di Traetto( ex Minturnae ).

La lapide Formiana CIL X 6077 (ora a Mantova ) , vista nel 1566 da Aldo Manuzio il Giovane (originario di Bassiano) sulla via Appia a Formia , rientrò in qualche modo nella disponibilità di Vespasiano Gonzaga e fu trasferita prima nella Rocca di Sabbioneta , poi a Mantova nella Reale Accademia ed infine nel Museo Archeologico dove attualmente è esposta.

Lo stesso Vespasiano , ” presso il sito dell’antica Formiae, venne in possesso della basetta di Decima Candida, sacerdotessa della Magna Mater-Cybele di Formia”.

Il reperto di Decima Candida, erroneamente ritenuto di Roma dal Mommsen, fu nel 1977 attribuito al territorio di Formiae dal Vermaseren ( 1918-1985) , uno storico-archeologo olandese specializzato in religioni orientali dell’Impero Romano ( le religioni di Mitra, Cybele e Attis).

A Sabbioneta ( attualmente un piccola cittadina di 4.000 abitanti ) i reperti furono disposti inizialmente nel Palazzo Ducale dei Gonzaga, nella Galleria degli Antichi, nel Palazzo del Giardino e nel Piccolo teatro all’antica.
Poi sicuramente furono in gran parte trasferiti a Mantova.

Altri reperti riferibili al nostro territorio e trasferiti da Vespasiano Gonzaga sono i seguenti:
CIL V 4087, VI 10275, 27405, 30972,3758
CIL VI 6708 – CIL VI.8517 E CIL III 6077.
Sono ritenuti tutti di provenienza Formiana e con buona probabilità trovansi tra Mantova e Sabbioneta distanti tra loro 39 km.

Ai Gonzaga, con il matrimonio di Isabella figlia di Vespasiano con Luigi Carafa , subentrarono altri personaggi come Nicola Guzman Carafa e Don Antonio Carafa.
La famiglia Carafa Della Stadera , in quegli anni, controllava molti feudi campani tra cui il feudo di Maranola e quello di Mondragone .

Dei nostri reperti del Lazio Antico si sono occupati gli studiosi:
Mika Kaiava, Kalle Korhonen, Hannu Laaksonen, Olli Salomies e soprattutto Heikki Solin.

Con questi riferimenti spero che altri si appassionino alle ricerche storico-archeologiche riguardanti la nostra città.

Il testo della seconda dedica formiana ad Antonino Pio ci perviene dal Pratilli.

La terza dedica formiana all’Imperatore Antonino Pio è stata studiata dall’epigrafista Heikki Solin ed è conservata al Mausoleo di Lucio Munazio Planco a Gaeta.

Raffaele Capolino.

QUINTO AURELIO SIMMACO

QUINTO AURELIO SIMMACO
Il principio dei piaceri sorge dalla terra Formiana ………………………………………

Quinto Aurelio Simmaco (340 – 402 dc), che aveva una villa a Vindicio di Formia, era Senatore romano e scrittore . È considerato, tuttora, il più grande oratore in lingua latina dell ‘ epoca , paragonato dai contemporanei a Marco Tullio Cicerone.

Fu ” proconsole ” d’Africa nel 373, ” Praefectus urbi” di Roma dal 383 al 385 e ” Console ” nel 391.

Era un innamorato di Formia , da lui elogiata in tante sue lettere dirette ai familiari.
In una scrive:
“Il principio dei piaceri sorge dalla terra Formiana; pur essendo parco, trascorsi in quel lido un maggior numero di giorni di delizie, avendo la grande salubrità dell’aria e la freschezza delle acque determinato l’indugio” ( Epistulae, lib. VIII,23).

“Principium voluptatum de Formiano sinu nascituri tanta cieli salubritate et aquarum frigore “

Nella Epist. 5, 69 diretta a suoi familiari, Symmachus Olybrio et Probino, che furono suoi ospiti a Formia, così si esprime :

“Avete rafforzato una mia vecchia opinione, voi che provate le medesime sensazioni riguardo alla bellezza e alla salubrità del litorale di Formia.
Raramente e solo di passaggio, finora, voi avete gustato le delizie di quella spiaggia : ora esse, conosciute più a fondo durante il soggiorno, con il godimento più prolungato hanno meritato il vostro amore”

Visse in un epoca di grande cultura , fu amico di S.Agostino e coetaneo di S.Damaso Papa, S.Girolamo e S.Paolino da Nola , ma fu credente ” pagano”, tant’è che si scontro’ con S. Ambrogio per far rimanere la Statua della Vittoria ( simbolo del paganesimo) nella Curia romana, ma la spuntò il Santo di ” Mediolanum” che fece sostituire la statua con la Croce di Cristo grazie al voto unanime dei senatori cristiani.

Come già riferito in altri post, presentò una interrogazione al Senato di Roma per i lavori di riparazione della condotta idrica nel territorio attuale di Vindicio
Nella Epist. 9, 131 – forse diretta al manutentore – troviamo scritto :

“Non posso tacerti che i lavori di sistemazione della condotta d’acqua di Gaeta non procedono come dovrebbero, e se la tua presenza non sarà di sprone all’opera intrapresa, temo che l’opportunità offerta dalla stagione estiva non sia sfruttata per il compimento del lavoro”

Come Prefetto di Roma chiuse una annosa vertenza tra Puteoli e Terracina per le assegnazioni di grano egiziano.
Dalle sue lettere sappiamo che Formia aveva il privilegio di essere rifornita di grano e di olio direttamente da Roma , come fosse una sua appendice:
” …per ricoprire il fabbisogno di grano e di olio della città di Formia si faceva ricorso allo storno dalle contribuzioni fiscali destinate a Roma ..”

Nell’area campano-laziale Simmaco aveva ville a Ostia, Laurento, Tivoli, Preneste, Formia ,Cuma, Bauli, Lucrino, Baia, Pozzuoli e Napoli.
Si ipotizza che anche la Villa del Casale di Piazza Armerina, in Sicilia, possa essere stata una sua proprietà.

Simmaco ereditò la villa di Formia da suo padre Lucio Aurelio Aviano Simmaco e la trasferì poi a suo figlio Quinto Fabio Memmio, per cui almeno tre generazioni della “Gens Aurelia ” vissero nei nostri luoghi.

Formia può quindi vantarsi di aver avuto la presenza di un altro grande oratore dopo Quinto Ortensio Ortalo, Gneo Pompeo Magno e Marco Tullio Cicerone.

Raffaele Capolino

I SITI DEL “FORMIANUM” DIPINTI DA CARLO LABRUZZI NEL 1789

I SITI DEL “FORMIANUM” DIPINTI DA CARLO LABRUZZI NEL 1789

Nel 1789 il pittore Carlo Labruzzi (1748 – 1817) ebbe, da Sir Richard Col Hoare, l’incarico di disegnare i più importanti monumenti di epoca romana disposti sull’intero tratto della Via Appia, da Roma a Brindisi.

Il viaggio del Labruzzi, iniziato da Roma, si interruppe a Benevento per problemi di salute dello stesso pittore.

In tutto furono eseguiti n. 226 dipinti di cui ben 23 riguardano “Formiae romana” che comprendeva i territori di Gaeta e Itri.
Tutti i dipinti del Labruzzi rimasero sconosciuti a tutti fino al 1899, quando Thomas Ashby li acquisto’ in blocco in un mercatino di cose antiche a Londra.

Alla morte di Thomas Ashby, avvenuta del 1931, la moglie vendette l’intero album di disegni alla Biblioteca Apostolica Vaticana che tuttora ne è proprietaria.

Il prezioso lavoro del Labruzzi ci consente di conoscere lo stato di ventitré siti del nostro territorio, così come era possibile vederli e ammirarli circa duecentotrenta anni fa.

Personalmente sono rimasto stupito a sapere che, poco più di 200 anni fa, Carlo Labruzzi abbia potuto ammirare e disegnare il Mausoleo Atratino di Gaeta in tutta la sua originaria bellezza.
Stesso stupore e stesso discorso per il Mausoleo di Lucio Munazio Planco, sempre a Gaeta.

Le immagini sono tratte dal web e dallo studio del 2014 “Mola e Castellone di Gaeta” di Aldo Treglia.

Raffaele Capolino

L’EDIFICIO PIÙ BELLO DI FORMIA

L’EDIFICIO PIÙ BELLO DI FORMIA
Palazzo Miele in Via Vitruvio

Il palazzo è stato costruito nel 1926 dalla famiglia di Angelo Miele ( 1922 – 2016), ingegnere aerospaziale che partecipò alla missione lunare Apollo 11.
Il fratello di Angelo – Franco Miele – è stato un famoso critico d’arte e pittore del secolo scorso.
A Franco Miele è intitolato l’Archivio Storico del Comune di Formia all’interno della Torre di Mola.

Il progetto del palazzo fu dell’ing.Mario Miele , zio di Angelo e Franco , per un investimento comune con i suoi fratelli Salvatore, Giuseppe ed Erasmo oltre al loro padre Angelo Miele Senior che fu sindaco di Formia nel 1895.

Si dice che sia stato il primo fabbricato di Formia costruito con la tecnica del cemento armato e dotato di due scale di accesso.

È di una bellezza straordinaria, con particolari che afferiscono al periodo del Regno d’Italia in quegli anni con un vasto impero coloniale costituito dalla Libia, Eritrea, Etiopia, e Somalia.

I lavori di sterro furono seguiti , nel 1926, dal Comm. Avv. Adolfo Nucci nella sua qualità di ispettore onorario delle antichità del Formiano.

Durante lo scavo furono rinvenuti numerosi rocchi di colonne di diverso diametro, e un gran numero di colonnine di mattoni per “sospensurae” in ambienti riscaldati.

Inoltre :

1 – Mano destra di statua marmorea , lunga cm 23
2 – Altra mano destra di statua marmorea lunga cm 20
3 – Braccio sinistro di statua muliebre marmorea
4 – Frammento di omero sinistro lungo cm 25 di statua marmorea
5 – Testina marmorea di Dionysos Barbato alta cm 20
6 – Piccolo plinto rettangolare di marmo azzurrognolo.
7 – Mascheretta in marmo bianco di Baccante cotonata di edera alta cm 11,5
8 – Parte superiore della maschera alta cm 18
9 – Plinto di marmo bianco lungo cm 34, recante le quattro zampe bene eseguite della statuetta di un cane accovacciato.
10 – Grande vaso di pietra calcarea a tronco di cono rovesciato, ingrossato nel labbro, alto cm 51 con bocca cm 49
11 – Metà di piccolo mortaio di marmo
12 – Frammento di colonnina tortile di marmo bianco alto cm 30 decorata con largo nastro a spirale e con foglioline in rilievo.

La relazione è a firma di Giuseppe Spano (1871 – 1963 ) che fu Direttore degli scavi di Pompei e professore di antichità pompeiane all’Università di Napoli.

Predette notizie archeologiche sono tratte dall’Archivio Accademia Nazionale dei Lincei

Questo grandioso e meraviglioso palazzo, che ha l’unico difetto di non poter essere fotografato frontalmente, merita la massima attenzione nella ripresa dei giusti colori della sua facciata

Nacque con colori diversi e fu fortemente danneggiato dall’ultima guerra.
L’originario colore celestino fu sostituito , con buoni esiti , dai colori giallo-oro e rosso-cupo sui piani superiori e una tinta grigio-ferro al piano terra.

Attualmente, non so quanti se ne siano accorti, il Palazzo Miele ha cambiato ” look ” con un inguardabile colore bianco lucente al piano terra.
Un colore che non vedo ben intonato con l’imponente struttura e i colori dei piani superiori.

Voglio sperare che sul bianco, venuto fuori in questi giorni, venga apposta la stessa colorazione grigio-ferro del passato.

Raffaele Capolino

IL FORMIANUM DI CICERONE

IL FORMIANUM DI CICERONE
Storia e ipotesi

Dagli storici antichi non ci perviene una precisa localizzazione dei luoghi appartenuti a Cicerone.

Tito Livio( in Seneca il Vecchio Suas. 7.17) afferma che l’oratore “….. ritornato alla superiore villa che dista dal mare poco più di mille passi….” fu assassinato dagli sgherri di Marcantonio.
Millle passi , pari ad un miglio romano, pari a metri 1480.

Plutarco ci informa che, in un angolo a mare della proprietà dell’Arpinate, vi era un Tempio dedicato ad Apollo.

Marziale, che ebbe occasione di conoscere molto bene i nostri territori, ci fa sapere che il suo amico Silio Italico aveva acquistato la proprietà appartenuta a Cicerone, comprensiva del mausoleo funebre.

Nel ‘700, per Erasmo Gesualdo e Sebastiano Conca, la Villa di Cicerone e il suo sepolcro si trovavano sulla collina di Acervara.
Oggi si ritiene invece che il sepolcro sull’ Acervara riguardi Tulliola, la figlia diletta di Marco Tullio Cicerone.

Il Principe di Caposele, nei primi decenni dell’ottocento, si adoperava per convincere tutti che la sua Villa di Castellone fosse appartenuta al grande Oratore.
Anche il Re delle Due Sicilie Ferdinando ll, divenuto nel 1852 proprietario della Real Villa Caposele, deve aver pensato di aver acquistato la domus ciceroniana.

In realtà, per quanto scritto da Cicerone nelle sue numerose lettere ad Attico e ai suoi familiari, si intuisce che la sua proprietà di Formia doveva stare sulla estremità occidentale del litorale di Vindicio a confine con Gaeta, e non nell’area centrale di Formiae

Sulla scorta di predette notizie storiche e dalla evidenza dei luoghi e’ oggi possibile avere le idee più chiare per ipotizzare i luoghi in cui visse e morì Marco Tullio Cicerone.

La sua proprietà terriera doveva essere quasi un rettangolo con lati lunghi di mt 1500 circa e lati corti di mt 500 circa.
La sua estensione dalla collina di Acervara fino al mare, pari a circa 0,80 chilometri quadrati, corrisponde a circa 324 jugeri romani. Ogni jugero romano è pari a mq 2.500 circa.
Si parla di un’area di complessivi 75 ettari.

Particolare importante è che la proprietà formiana di Cicerone era attraversata da due principali strade romane:

  • La Via Appia Antica a nord
  • La Via Flacca Antica a sud.

Attualmente, incominciando da litorale di Vindicio, possiamo ammirare le strutture adibite a ” balneum” (attualmente Villa Lamberti) confinante a sud con la Via Flacca Antica, il Sepolcro confinante a nord con la Via Appia, il Sepolcro di Tulliola sulla collina di Acervara e, ancora più sopra, sia i resti della sua domus, sia imponenti tracce di una cisterna romana.

La collina di Acervara doveva essere piena di vegetazione con alberi di alto fusto, se i sicari di Antonio, come ci trasmette Plutarco, trovarono difficoltà a inseguire l’oratore trasportato in lettiga dai suoi servi.

La ricognizione letteraria antica, in aggiunta alla conoscenza dei luoghi peraltro supportata da una tradizione orale bimillenaria, porta a convincerci che tutti i tasselli appaiono collocati al posto giusto.

Le foto sono di Fausto Forcina e Jeanpierre Maggiacomo, mio il testo con le ricostruzioni grafiche.

Raffaele Capolino

PHILIPPE DAVERIO A FORMIA

PHILIPPE DAVERIO A FORMIA

Una giornata indimenticabile assieme a Philippe Daverio, quella del 16 gennaio 2020 , dalle 11.00 mattina alle 17.30 del pomeriggio.

Quando gli presentai la Fontana Romana di S. Remigio come ” la stazione di servizio” al tempo dei romani rimase molto sorpreso e felice.

Avendo notato nelle vicinanze la Villa Patroni Griffi, espresse il desiderio di incontrare il suo amico Massimo Patroni Griffi che, avvertito da me pur stando fuori Formia, ci raggiunse al Cisternone di Castellone.

Ho visto brillare gli occhi di Philippe Daverio guando gli parlavo di Vitruvio, nativo di Formia.

Mi chiese una prova in merito e mi venne l’idea di far riprendere al figlio l’epigrafe della ” Gens Vitruvia” nel Lapidario di quella che fu la Real Villa Caposele, proprietà dei Reali Borbone dal 1852 fino al 13 febbrario 1861, quando cessò l’assedio di Gaeta.

Rimase entusiasta ad osservare ogni particolare del Cisternone, dove lo accompagnai con la mia auto passando per i vicoli di Castellone, dove lui non era mai stato.

Dedicò molto tempo a questa nostra grandiosa struttura idraulica di epoca romana, ancora oggi funzionante, che definì ” un’opera colossale per Formia romana ” rafforzata , come disse esplicitamente, dal ” valore aggiunto ” riferito a Vitruvio ritenuto, dagli studiosi più importanti, originario di Formia.

Insomma fu una giornata da ricordare dedicata a quattro siti archeologici di Formia in compagnia di Philippe Daverio con Vito Auriemma, Gianmatteo Matullo, Chiara Lestrigonia e Salvatore Gonzalez.

Raffaele Capolino

ANATEMA DEL CENOBIO DEI MONACI OLIVETANI DI S. ERASMO IN CASTELLONE DI FORMIA

ANATEMA DEL CENOBIO DEI MONACI OLIVETANI DI S. ERASMO IN CASTELLONE DI FORMIA

ANATEMA – PAPA GREGORIO XI
NON RISORGA NEL GIUDIZIO – INFELICE MUOIA DANNATO COME L’INIQUO GIUDA CHIUNQUE OSI VIOLARE IN QUALSIASI MODO QUESTO CENOBIO – AD 1621

Questo anatema non è altro che una maledizione per chi profana un luogo sacro così come gli anatemi scritti dagli Egiziani all’ingresso delle Tombe dei Faraoni per scoraggiare i tombaroli.
Si tratta della traduzione di uno scritto in latino su una lastra marmorea posta sul magnifico portale dell’ingresso del Cenobio di S.Erasmo a Castellone, comprovante i numerosi atti di saccheggio avvenuti nei vari secoli a danno del monastero.

Sulla efficienza dissuasiva di questa scritta in latino nei confronti di popoli barbari e/o mussulmani personalmente ho più di un dubbio.
La stessa posizione della lastra marmorea così in alto da non consentirne la lettura, è alquanto curiosa.

Il reperto in marmo riporta anche l’autore di questo anatema che risale al 1300 ed è riferibile al Papa Gregorio XI ed è all’ ingresso di quasi tutti i Cenobi Olivetani compreso anche quello di S.Magno in Fondi.

Gregorio XI Papa tra il 1370 e il 1378 fu l’ultimo Papa eletto ad Avignone e fu lui , nel 1377, pur di origine francese e un anno prima della sua morte, a riportare , dopo settanta anni, la Sede Papale da Avignone a Roma.
Questo evento ,osteggiato in particolare dal clero francese, determinò lo Scisma d’Occidente che durò quaranta anni nei quali ci furono quattro Papi eletti a Roma e quattro Papi eletti a Fondi e Avignone.
Le nazioni cattoliche del mondo occidentale si divisero in due a seguito di questo evento che interessò la Chiesa di Roma.

In particolare questi furono i fatti, consequenziali alla spaccatura, che si verificarono nella Chiesa Cattolica Cristiana
in quegli anni:

Dopo la morte nel 1378 del Papa Gregorio XI , autore del suddetto anatema, fu eletto a Roma Papa Urbano VI mentre negli stessi giorni a Fondi , appartenente assieme a Castellone e Mola al Ducato di Gaeta, diversi Cardinali per lo più francesi, elessero il primo Antipapa Clemente VII che provvide subito a ristabilire la propria corte ad Avignone.

Per quarant’anni , quindi, Roma eleggeva i suoi Papi ed Avignone faceva altrettanto fino a quando, nel 1417, con il Concilio di Costanza furono dichiarati eretici gli antipapi Clemente VII (eletto a Fondi) , Bonifacio XIII, Alessandro V e Giovanni XXIII (eletti ad Avignone).

Particolare curioso si verificò quando Mons. Angelo Roncalli (il Papa Buono) fu eletto nel 1958 e decise di chiamarsi Papa Giovanni.
Gli fu assegnato ovviamente lo stesso numero XXIII appartenuto all’Antipapa dichiarato eretico nel 1417 dal Concilio di Costanza.

Al racconto di questo grande evento storico avvenuto nei nostri territori, siamo pervenuti partendo dall’Anatema del Cenobio Olivetano di S.Erasmo in Castellone di Formia.

Raffaele Capolino

CRONACA DELLA SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI DEL 22 MAGGIO 1856

CRONACA DELLA SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI DEL 22 MAGGIO 1856
I Reali Borbone, tra Formia e Gaeta

               °°°°°°°°°°°°°°°°

Il mattino del 22 maggio del 1856 , per la solennità del CORPUS DOMINI, la Maestà del Re N.S. con la Maestà dell’Augusta Regina, con S.A.R. il Duca di Calabria , e con le AA.RR. del Conte di Trani e Conte di Caserta, e degli altri RR. Principi e Principesse, dalla Real Casina di Caposele si condusse alla città di Gaeta, dirigendosi al Duomo, e di là, giusta il suo pio costume, seguì a piedi il Venerabile per tutto il giro consueto della processione.

Incedevano con la Maestà del Monarca gli Augusti Figliuoli , mentre S.M. la Regina aspettava il sacro corteo con le R.R. Principesse innanzi a quella Reggia , ove genuflessa ricevette la benedizione del Santissimo.

Eravi in due ali schierata la R. Guarnigione, compresi gli Allievi Militari, ed appresso al 3° di linea vedevansi procedere le LL.AA.RR. il Conte di Girgenti ed il Conte di Bari, l’uno in uniforme di Porta-bandiera, l’altro in quello di semplice soldato.
Continue furono le salve dei castelli durante la processione , immensa la calca e la gioia della popolazione traente con rispettoso entusiasmo dovunque le fosse dato fruire degli Augusti cospetti.

Dopo la generale benedizione impartita nel tempio da quel Prelato che pontificò in tutte le sacre cerimonie, la prelodata M. S. con le le LL. AA. RR., ritornò alla Reggia , e poich’ebbe di là assistito allo sfilar di tutta la R. Guarnigione , tornò felicemente alla R. Villa di Caposele.

              °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Esattamente tre anni dopo questo evento, Ferdinando II morì all’età di 49 anni, il 22 maggio del 1859.

Ferdinando ll aveva avuto complessivamente tredici figli .

Dalla prima moglie ,Maria Cristina di Savoia beatificata nel 2014 , ebbe Francesco , Duca di Calabria ed erede al trono.
Dalla seconda moglie, Maria Teresa d’Austria, ebbe dodici figli , di cui otto raggiunsero l’età adulta.

Raffaele Capolino