LA STORIA DEI FRATELLI FRANCIOSA DI FORMIA

LA STORIA DEI FRATELLI FRANCIOSA DI FORMIA


Caduti nella grande guerra del ’15/’18

Partirono in guerra quasi insieme tra maggio e agosto del 1915 , combatterono al fronte nelle stesse zone del Veneto e del Trentino ma il destino crudele fece in modo che non si dovessero mai più incontrare.

Solo i loro nomi sono insieme nel Monumento ai Caduti di Formia in Piazza della Vittoria.
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SERGENTE FRANCIOSA GIACOMO
Formia 17 febbraio 1885
Thiene (VI) 7 novembre 1918, ore 17.00 all’età di 33 anni

Il 31 agosto 1915 rispose alla chiamata per mobilitazione. Fu destinato al 123° Reggimento Fanteria (Brigata Chieti) dove il 30 giugno 1917 ebbe i gradi di sergente e la possibilità di tornare a Formia , ciò che gli consentì di vedere, anche se per pochi giorni, il suo terzo figlio nato il 1° giugno 1916.

Il 17 ottobre 1918 fu ricoverato all’0spedale da Campo n. 243 dove morì per broncopolmonite.
Fu sepolto provvisoriamente a Thiene.
I suoi resti riposano, attualmente, nel Sacrario Militare di Asiago (VI) al loculo n. 5105.
Lasciò la moglie Laracca Giovanna, i figli Pasqua, Luigi e Salvatore ( detto Pacetto) di pochi mesi.

Dalle sue lettere alla sua amata moglie riporto alcune frasi:

” Saluti carissimi pure al mio caro padre , a te una cosa di più, un forte abbraccio ”

“Quando …….partorirai, secondo come ti dissi a voce ed in cartolina, al bambino se è maschio lo metterai nome Pacetto, e se femmina Pace”

” Il paese dove sto io non lo puoi sapere perché ci è proibito nominare luoghi in zona di guerra dove sono le truppe ”

“Baci senza fine a te Pacetto, Luigino e Pasquarella, a Giovanna con la cara mamma”

Alla moglie non fu consentito, dal funzionario di Stato civile del Comune di Formia, di dare all’ultimo figlio il nome voluto dal padre.
Il neonato fu registrato con il nome Salvatore, ma per tutti quelli che lo conobbero e lo amarono, il suo nome è stato : Pacetto

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Caporalmaggiore FRANCIOSA ERASMO ANTONIO
Formia, 13 giugno 1888
Monte Pasubio, 28 giugno 1916 all’età di 28 anni

Rispose, il 23 maggio 1915, alla chiamata alle armi per mobilitazione e fu destinato al 218° Reggimento Fanteria M.M. ( Brigata Volturno).
Morì durante una fase di combattimento nel fondo Valle del Monte Pasubio, per ferite da scoppio di granata.Fu sepolto in loco.

I suoi resti non furono mai trovati.
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Ci lamentiamo oggi per essere costretti a restare nelle nostre case per pochi giorni per via del coronavirus.
Questi due fratelli hanno risposto alla chiamata alle armi, hanno conosciuto le trincee, la fame, la paura, la morte.

Franciosa Giacomo, prima di partire sapeva di avere poche speranze di tornare a casa dai suoi cari.
Eppure, in una cartolina, spedita il 15 agosto 1916 dal fronte alla sua moglie, scrisse:

” Sto bene, tengo troppo da fare. Saluto e bacio tutti.
Pregate per la pace alla Madonna della Civita”
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Questa è la storia dei due fratelli Franciosa di Formia, morti giovanissimi per difendere i loro cari, il suolo italico e noi tutti .

Raffaele Capolino

LEDA COL CIGNO Museo Archeologico Nazionale di Formia

LEDA COL CIGNO
Museo Archeologico Nazionale di Formia

Fu trovata a Formia nel 1928 così come ci viene riferito da Salvatore Aurigemma che partecipò agli scavi:

“…. Dovendosi rendere più profonde e più solide le fondazioni di un muro all’angolo orientale della Piazza Risorgimento si scoprì una vasta area di criptoportici, sgombrando i quali da materiale vario si rinvennero una fine replica in marmo della Leda di Timotheos, e una statua di Musa, oltre a un torso di Efebo. ”

Piazza Risorgimento, nel dopoguerra divenne : Piazza Mattej.

Il gruppo, in marmo bianco italico, ha un’altezza di mt 1,10.

Nella seconda foto si notano, in basso a sinistra, i colori originari del gruppo marmoreo.

La prima foto è di Fausto Forcina

Raffaele Capolino

UNA DELLE TANTE EPIGRAFI CHE TESTIMONIANO LA PRESENZA DELLA GENS VITRUVIA NEL “FORMIANUM”

UNA DELLE TANTE EPIGRAFI CHE TESTIMONIANO LA PRESENZA DELLA GENS VITRUVIA NEL “FORMIANUM”FB_IMG_1585463040086

È murata nell’area del c. d. Palazzo Docibile in Via Rosmini a Gaeta medievale.

Il reperto epigrafico, studiato da Lidio Gasperini e da Heikki Solin, è alto cm 59, lunghezza cm 102, spessore cm 27.

L. Magid (ius)
M. VITRU(vius)

Entrambi i personaggi sono attestati nell’area formiana.

Raffaele Capolino

L’ INCONTRO E IL COLLOQUIO TRA CESARE E CICERONE A FORMIA

L’ INCONTRO E IL COLLOQUIO TRA CESARE E CICERONE A FORMIA


Narrato dallo stesso Oratore

Avvenne 2069 anni fa, esattamente il 28 marzo del 49 a. C.

Nella lettera ( IX, 18), scritta nel Formiano il 28 marzo del 49 a. C. e diretta ad Attico, Cicerone riporta i passaggi più importanti, se non addirittura le stesse frasi dette in questo suo incontro con l’uomo più potente al mondo allora conosciuto.

Cicerone, come tutti i senatori e su consiglio di Pompeo, aveva da tempo lasciato Roma e si era ritirato con i suoi familiari a Formia, dove rimase per più di quattro mesi.

Giulio Cesare, arrivato a Roma dopo aver sottomesso i Galli e i Britanni, aveva invano cercato di inseguire Pompeo che a Brindisi si era già imbarcato per Durazzo.

La visita di Cesare a Cicerone era stata già preannunciata, nei giorni precedenti a mezzo epistole, dai cesariani e amici comuni : Mazio e Trebazio.

Al ritorno da Brindisi, Cesare pernotto’ il 27 a. C. a Sinuessa ( oggi Mondragone) e il giorno dopo, con tutto il suo seguito di generali e legionari, giunse nella Villa di Cicerone, a Formia, con l’intenzione di convincerlo a stare dalla sua parte e a seguirlo a Roma.

Queste le parti più interessanti del colloquio:

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Cesare : Vieni dunque e svolgi la tua opera in favore della pace.

Cicerone : A mio arbitrio?

Cesare : Dovrei forse imbeccarti io?

Cicerone : Ebbene, metterò in chiaro che vanno contro il parere del Senato l’azione offensiva verso la Spagna ed il trasferimento di truppe in Grecia. Avrò di che gemere copiosamente sulla vicenda di Pompeo.

Cesare ( abbastanza urtato) : Non voglio che si dica ciò.

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Cesare capi’ che Cicerone era risoluto a rimanere dalla parte di Pompeo per cui terminò il colloquio invitandolo a pensarci.
Prima di uscire dalla casa di Cicerone , Cesare disse con tono minaccioso:
“Sappi che se non mi è consentito di giovarmi dei tuoi consigli, utilizzerò quelli di coloro con cui è possibile entrare in contatto e ricorrerò a tutti gli espedienti”
Fu così che si lasciarono.

Lo stesso giorno, Cicerone informò, con una lettera spedita da Formia, il suo amico Attico.
In questa lettera, Cicerone riferì al suo amico che le sue parole non erano piaciute a Cesare, ma che si sentiva orgoglioso di aver proferito , senza alcuna esitazione, la sua determinata volontà di non assecondare colui che riteneva un nemico di Roma Repubblicana:
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Cicerone in Lett. IX, 18 da Formia (28 marzo 49 a. C.)
“Così ci siamo lasciati. Sono, dunque, del parere che egli non mi veda di buon occhio, ma sono io che mi compiaccio di me stesso; cosa, questa, che non mi capitava da un pezzo”
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Cicerone in Lett. IX, 19 da Arpino (1 o 2 aprile 49 a. C.)
“… non esiste in Italia individuo disonesto che non si trovia al seguito di Cesare. Li ho visti con i miei occhi questi ribaldi tutti insieme, a Formia, te lo assicuro, non li ho considerati degni di essere chiamati uomini;eppure li conoscevo tutti, ma non li avevo mai visti imbrancati a torme ”
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Nei primi giorni di aprile Cicerone lasciò Formia per dirigersi ad Arpino dove consegnò ” la toga virile” al figlio Marco divenuto maggiorenne.

Il 7 giugno si imbarco’ da Gaeta per Durazzo ,con figlio ,fratello e nipote per congiungersi con le forze militari di Pompeo in Macedonia.
Nella battaglia di Farsalo, avvenuta il 9 agosto del 48 a.C. , Pompeo fu sconfitto da Cesare.

Si narra che alcuni giorni dopo la battaglia, Cicerone vagasse frastornato nel porto di Durazzo tra la folla e i soldati di Cesare. Quest’ultimo lo vide, lo chiamò e gli fece capire che lo aveva già perdonato.

Pompeo riuscì a salvarsi e a raggiungere Alessandria d’Egitto dove trovò la morte su ordine di Tolomeo, fratello di Cleopatra.

Questo incontro a Formia tra Giulio Cesare e Marco Tullio Cicerone e’ ben conosciuto da tutti quelli che amano la storia di Roma.

Ma solo a noi di Formia, il destino ha concesso di poter raccontare, con orgoglio , questo importante e storico incontro avvenuto nei nostri luoghi.

Fonti: Lett. Cicerone ad Attico IX, 18 – IX, 19

Raffaele Capolino

LA ROSA DEI VENTI DEL FORMIANUM

LA ROSA DEI VENTI DEL FORMIANUM


Conteneva i nomi dei venti in greco e latino e fu vista murata a Gaeta nel 1500 , forse a Punta Stendardo.

L’iscrizione di questo reperto, purtroppo andato perso, fu studiata dall’epigrafista Lidio Gasperini e pubblicata nel IV volume 1996 del Formianum, in un articolo che cercherò di renderlo di piu’ facile lettura per il piacere di poterlo trasferire a tutti.

Si trattava, come dice il Gasperini, di un ” frammento di colonna dodecagona” murata in un luogo ancora sconosciuto nel Porto di Gaeta, per cui erano visibili solo sette facce delle dodici complessive.

Le sette facce contenevano i nomi dei venti sia in lingua greca che in quella latina con le scritte di cui alle prime tre foto allegate a questo post.

Serviva ad indicare la direzione dei venti nel periodo romano per cui le dodici facce dovevano essere necessariamente tutte visibili per poter dare giuste indicazioni alla navigazione a vela del periodo romano.

Il primo ad averla vista fu il canonico archeologo belga Vinandus Pighius ( 1520 -1604) che poté copiare la scritta bilingue della colonna, per essersi trovato in Italia dal 1547 al 1555 , periodo in cui era possibile vedere solo i sette dodicesimi dell’antico reperto.

Predetta scritta del Pighius ci perviene da un manoscritto del 1551 del fiammingo Martinus Smetius che era uno studioso ricercatore autore di ” Inscriptiones antiquae” , un testo che si conserva nella Biblioteca di Napoli.

Il testo delle sette facce fu riportato nel foglio 32 del codice napoletano ( ved. foto Nomina Ventorum) , e fu ripreso successivamente da Aldo Manuzio il Giovane, da Pirro Ligorio e da Ianus Gruter nel suo Corpus edito a Heidelberg nel 1603.

Il Mommsen lo inserì prima nelle sue ” Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae ” del 1852 ( n. 4104) ed infine nel Corpus Inscriptionum Latinarum del 1883 con il CIL X 6119 .

I venti citati allora si chiamavano: Africus, Austroafricus, Auster, Euroauster, Eurus, Solanus e Subsolanus.

Curiosi i venti chiamati Euroauster e Eurus !!!!!!

I primi sei nomi coincidono con quelli citati nel reperto conservato nei Musei Vaticani( quarta foto), dove il settimo è scritto Vulturnus invece che Subsolanus.

Vulturnus, dice il Gasperini, è la giusta denominazione del vento citato con la stessa parola greca sia nel reperto Vaticano, sia nella scritta originariamente vista a Gaeta dal Pighius che avrebbe sbagliato nel leggerla.

Scrive il Gasperini che il nome del vento Solanus , nel sesto comparto, coincide ” col nome – guardacaso! – che il Formiano Vitruvio dà sistematicamente al vento di Levante…….nel suo celebre trattato ”

A Lidio Gasperini viene anche il dubbio che le facce della colonna di Caietae fossero state addirittura sedici e non dodici e si domanda chi potesse avere scolpito il reperto.

“Fu esso realizzato nel Formiano o vi arrivò già prefabbricato da fuori ? . L’alto livello delle botteghe lapidarie formiane porterebbe a non escludere la prima ipotesi.”

In pratica questo reperto , ora scomparso , non era altro che uno “strumento”, per indicare la presenza e la direzione del vento , che oggi è chiamato “anemoscopio” e, come tale, in un periodo in cui la marineria era impostata totalmente sulla navigazione a vela, solo in un porto importante del Sinus Formianus poteva collocarsi.

Ad essa si rivolsero per secoli gli sguardi di marittimi, pescatori e passeggeri in partenza dal nostro Sinus e diretti in ogni parte del mondo allora conosciuto.

Termina Lidio Gasperini:

” Benché perduta , questa rosa dei venti ha il potere di evocare tanti momenti di vita vissuta attorno ad essa , la vita di una città di mare , la vita dei Formiani antichi. ”

Onore al Professore dell’Università di Roma : Lidio Gasperini che ho avuto il piacere di conoscere di persona e che si è spento a 77 anni, il 9 ottobre del 2009.

Ci ha lasciato, assieme a tanti scritti sulla nostra storia , anche questa storia sulla “Rosa dei venti” della Formiae romana.

Un altro tassello del nostro glorioso passato romano.

Raffaele Capolino

Le quattro foto sono prese dal Formianum IV 1996

IL REPERTO EPIGRAFICO SCOMPARSO A FORMIA

IL REPERTO EPIGRAFICO SCOMPARSO A FORMIA

La prima foto, scattata probabilmente negli anni ’60 scorso secolo, ci mostra la parte centrale di un enorme architrave pervenutaci in tre spezzoni , con scritta riferita all’imperatore Marco Cocceio Nerva.

Uno dei tre pezzi fu trovato intorno alla metà del diciannovesimo secolo e fu disegnato dal Mattej, gli altri due spezzoni furono invece rinvenuti nel 1928 nella zona occupata oggi dalla Via Nerva.

I tre spezzoni di architrave, con scritta di ottima fattura e buona conservazione, hanno girovagato, assieme ad altri numerosi reperti, per un bel po’ di anni e per diverse piazze e giardini di Formia.

Quando se ne comprese l’importanza storica- archeologica, all’incirca cinque anni fa, si penso’ di assemblare, di di restaurare  e conservare il reperto finale al locale Museo Archeologico di Formia.

Fu solo in quella occasione che si scoprì che i pezzi non erano più tre ma due.
Mancava la parte centrale di cui alla prima foto.

L’ operazione fu affidata alla restauratrice Iliadora Marafini che dovette ricostruire, in resina o in altro materiale, la parte mancante, ricomporre l’intero reperto e sistemarlo su bracci di ferro su una parete del Museo Archeologico Nazionale di Formia, dove è ora possibile ammirarlo. ( foto 4)

Se ricordo bene l’architrave, in marmo bardiglio e con elegante doppia modanatura nella parte inferiore, ha una lunghezza di metri 3,20 e un peso di 13 quintali.

Le prime tre immagini provengono dal Fondo Bove presso l’Archivio Storico Comunale di Formia.
Nella quarta foto, si può ammirare il risultato dell’ottimo lavoro di restauro portato a termine dalla sopra menzionata restauratrice.

Raffaele Capolino

FELICE TONETTI, NEL 1930 , DESCRIVE IL CISTERNONE ROMANO DI CASTELLONE APPENA SCOPERTO

FELICE TONETTI, NEL 1930 , DESCRIVE IL CISTERNONE ROMANO DI CASTELLONE APPENA SCOPERTO

Il Podestà di Formia, Felice Tonetti, fu il primo a poter visitare il nostro Cisternone, assieme all’ingegnere Carlo Chiota. Questa sua descrizione ci fa capire quanto sia stato grande il suo amore per questa nostra Città.
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La conserva d’acqua di Castellone

La saggezza dei nostri padri, come aveva approvvigionato di acqua la parte bassa di Formia, con l’acquedotto di Mola, così aveva provveduto per la parte alta, la rocca, oggi Castellone. Anzi lo aveva fatto con maggiore premura, data la importanza militare della località.

Parecchie persone di grave età e degne di fede mi avevano riferito che nell’alto del Castellone esistevano dei grandi vuoti sotterranei. Naturalmente la fantasia popolare faceva del borgo un paese addirittura pensile, con cunicoli che riuscivano a lontananze incredibili.
La realtà non è stata molto minore dei sogni.

Restaurandosi una fognatura presso la Chiesa di S. Anna, gli operai si imbatterono in una antica bocca di pozzo, piena di terriccio. L’ingegnere comunale signor Chiota, me ne avvertì, come sempre in casi simili; e detti disposizioni perché se ne incominciasse lo sgombero: il che fu fatto.

La mattina appresso era aperto un tramite sufficiente a permettere la discesa anche a me.
Discesi infatti, e mi trovai di fronte ad uno spettacolo di una enorme grandiosità.

Una lunghissima triplice serie di pilastri in pietra e coccio pisto, ancora come nuovi, si stendeva a vista d’occhio, e reggeva quattro serie di volte a botte di metri 2,90 di larghezza.
I pilastri hanno 0,90 di lato. L’ enorme sotterraneo è in parte riempito di terriccio che i muratori più anziani ricordano essere stato tolto dal cavo eseguito per la fogna grande di Castellone.Dove non giunge il terriccio, il sotterraneo è pieno di acqua limpida. Esso non è stato ancora potuto esplorare compiutamente. Si può dire che la sua lunghezza massima sia di m. 64,60 ; l’altezza del piano di fondo al centro degli archi , di circa m. 6,45 , lo spessore della volta è di m. O,70 ; la profondità attuale dell’acqua è quasi di 4 metri. La superficie , per quanto può vedersi oggi, è di 1200 metri quadrati; la capacità di circa 7000 mc.

Ho dato disposizioni perché l’insigne e grandioso monumento sia liberato dal terriccio e vuotato dall’acqua, in modo da poterlo completamente studiare.

Esso fu costruito appoggiando il lato più lungo all’interno delle mura poligonali. È tanto vasto e robusto che un discreto tratto del paese , quattro strade e undici case, sono state costruite sulle sue ciclopiche volte . Alcune di queste case ne han fatto il pozzo, altre lo smaltimento delle materie putride.

L’ amministrazione, come ho detto, ne curerà il ripristino: forse potrà ancora tornare ad uso simile a quello per cui fu costruito, a serbatoio di acqua per innaffiamento , cioè , se non fu acqua potabile.
Esso doveva essere riempito con l’acqua proveniente dalla regione a nord di Formia, forse dalla sorgente che si trovava presso la chiesetta rurale di S. Maria la Noce. Tale sorgente ora, di estate, è ridotta ad uno stillicidio, e neanche è abbondante nell’inverno. Ma un tempo doveva essere abbondantissima, come dimostrano le proporzioni di un acquedotto certamente romano, che ne conduceva le acque forse alla conserva oggi scoperta, e quelle di un acquedotto borbonico, che le adduceva alla cisterna sottostante la piazza di S. Teresa, per uso del popolo e della caserma di cavalleria ivi stanziata.

Tali sono le ultime scoperte di antichità formiana , ma altre indubbiamente ne daranno le costruzioni nuove che si prevedono numerose. Ogni punto di Formia nasconde monumenti .
Essa era la più cara , la più ricca delle villeggiature marittime romane: le grandi famiglie ambivano possedere una villa sul “+dulce temperatae Formiae litus ” di Marziale, la incomparabile spiaggia di Vendicio.
Felice Tonetti

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Questo studio fu presentato , nel 1930, al II° Congresso Nazionale di Studi Romani.

Felice Tonetti, Podestà di Formia in provincia di Roma dal 1927 al 1936 , al predetto congresso parlò anche di numerose altre realtà archeologiche di Formia.

Sarà mia cura renderle a voi note nei prossimi giorni.

(Foto di Fausto Forcina)

Raffaele Capolino

FORMIA – VIA DEI CARMELITANI Detta comunemente ” Via degli stalloni “

FORMIA – VIA DEI CARMELITANI
Detta comunemente ” Via degli stalloni ”

Molti sanno che è così curiosamente denominata, ma non ne conoscono le motivazioni.

Solo pochi sanno i veri motivi ma, certamente pochissimi hanno potuto leggere i documenti che hanno dato origine a questo ” toponimo” di Formia.

La sua storia è questa:

Già Ferdinando II a partire dal 1852 utilizzò il Convento dei Carmelitani come caserma per circa mille soldati ed un reparto di cavalieri.
Lo stesso Re fece costruire la Cisterna Borbonica , sotto P. za S. Teresa, per le esigenze idriche dei soldati e,
in special modo, per i cavalli sistemati nelle ” grandi stalle” disposte sul lato est del grande fabbricato che, anche nel periodo post-unitario ebbe la stessa destinazione ad uso militare.

Infatti il 23 febbraio 1889, il Comune di Formia sottoscrisse una convenzione con la Sezione staccata del Genio Militare di Gaeta per ospitare nel palazzo Comunale di Formia ( allora detta Caserma S.Teresa) , un distaccamento di Cavalleria .

I cavalli dovevano essere alloggiati nel piano terra con ingresso laterale est in numerosi ampi locali diventati di fatto grandi stalle ( da qui: stalloni) , mentre i cavalieri sarebbero stati alloggiati nei piani superiori.

Il 23 agosto dello stesso anno , con nota indirizzata al Sindaco del Comune di Formia , Pasquale Spina, viene comunicato quanto segue :

” essendo abolito il Distaccamento di Cavalleria in codesta Piazza, lo scrivente in seguito ad ordini del Comando Militare di Napoli e della Direzione dell’arma in Capua, si fa premura di significare alla S.V. che il giorno 26 corrente alle ore 10 antimeridiane un delegato di questa Sezione si recherà in Formia per procedere alla restituzione della Caserma S.Teresa a codesto Municipio.
Prego poi la S.V. di farmi conoscere gli apprezzamenti di codesta Amministrazione circa il tempo in base al quale dovrà liquidarsi il fitto spettante a termini della Convenzione in data 23 Febbraio 1889, onde possa riferirne sollecitamente all’autorità Superiore.

Il Capitano Capo Sezione
N. Nanau ”

Il fitto del periodo fu quantificato in Lire 156,60 comunicato con la nota del 27 agosto 1889 firmata dal Sindaco di Formia: Pasquale Spina.

Fu così che rimase, nelle generazioni che ci hanno preceduto , il ricordo di questi eventi, avvenuti circa 150 anni fa, che determinarono il “toponimo ” che ancora oggi conosciamo: ” Via degli stalloni ”

Raffaele Capolino

Fonte Faldone V fascicolo 3 – Archivio Storico Comune di Formia.