RICORDANDO VINDICIO

RICORDANDO VINDICIO

In un meraviglioso racconto del Cav. Enrico Marino che, proveniente da Caserta, conobbe la spiaggia di Vindicio negli ultimi anni del diciannovesimo secolo e nel 1915.

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” Ricordando Vendicio

Avevo poco più di 13 anni, quando mio padre mi condusse la prima volta a Formia.
Era di luglio, mese in cui tutti accorrono al mare e lo ricordo come un sogno, appena giungemmo alla stazione ferroviaria, una folla immensa si accalcava all’uscita, in mezzo ad un frastuono assordante, i vetturini facevano a gara per accaparrarsi i viaggiatori.

Mio padre noleggiò una vettura, e, mentre passavamo per Piazza S.Teresa, mi disse: Andiamo al mare, dove farai un bagno, e ti troverai fra tanti bambini, in un posto dove non avrai paura di annegare.

La mia curiosità, curiosità infantile di conoscere il nuovo sito, mi rese più irrequieto e più bramoso di arrivarvi al più presto.
Il sole coi suoi raggi dorati splendeva sull’incantevole golfo, e l’immenso specchio d’acqua, in quel giorno sublime, invitava suggestivamente a tuffarvisi dentro. La vettura infilò una vita stretta ed ingombra di veicoli.

Svoltammo sulla salita, e scendemmo per una strada ripida che si addormenta sul mare. Che grande spettacolo sorprese l’animo mio! Lo ricordo come ieri. Cominciai a fremere, abbracciai fortemente mio padre, e, mentre il vetturino era per fermare, saltai giù per il primo.

Lo stabilimento balneare era gremito di gente, sicché avere un camerino fu un arduo problema. In poco tempo mi tuffai nel mare. Ero timido da principio, ma, esplorato il suolo magnifico e sicuro della spiaggia, mi sentii subito sotti i piedi la sabbia soffice, che sembrava un tappeto di pelliccia, e saltarellando m’inoltrai nel mare, fino a che mi vidi presso il limite segnato per i bambini. Mio padre, appoggiato alla passerella dello stabilimento, spiava tutti i movimenti, ed io ogni tanto gli lanciavo lo sguardo con la più sentita gioia.

Non saprei descrivere chi dei due potesse chiamarsi più contento: certo ricordo quel giorno come il più felice della mia vita, e ricordo altresì che fu troppo amaro il distacco più tardi, da quella deliziosa dimora.
Tornammo a Caserta, ma il ricordo di Vindicio rimase scolpito nella mia mente come una cosa cara, alla quale mi sentivo legato da passione e da speranza di ritornarvi.

Trascorsero molti anni : vi ritornati nel 1915. Passando per quel sito, mi si rinnovò nell’animo il ricordo della mia infanzia e il dolore per il povero padre mio che non era più.
Sicchè ripensai a quel giorno di luglio, alla età in cui tutto sorride, ma con dolore di figlio e nello stesso tempo di padre, perché uno dei miei figli, gravemente infermo, quasi diffidato dalla scienza medica, veniva da me trasportato a Vindicio, come ad ultimo sito che doveva salvarlo dalla morte!

E domandai a quel mare, a quel clima, a quella spiaggia deliziosa, che mi rendessero la vita al figlio mio!
Con l’animo straziato, in preda alla più viva emozione, per la ricerca di una casa in mezzo alla ciniglia inghirlandata del meravioglioso golfo trovai l’alloggio.
Il piccolo sofferente, venuto dalla lontana Caserta, fu adagiato sul letticciulo, accanto ad una finestra che guardava il mare: quella finestra portava ogni tanto al capezzale del mio angioletto un soffio rinnovatore e un profumo soave che metteva nell’animo una speranza ed un sollievo!

Io e mia moglie muti ed afflitti notavamo il contrasto immenso tra il paradiso che ci circondava e le gravi condizioni del nostro caro, ed attendevamo gli eventi, quasi rassegnati.
L’aria balsamica, quel sito che rianima gli organismi disfatti, fecero ravvivare lentamente le fibre del nostro piccino, e nell’ansia trepidante dei giorni e delle notti, noi lo vedemmo pian piano migliorare. Possibile? Sognavamo forse?

Mancava poco che si compisse un mese dal nostro arrivo, quando il nostro angioletto alzò la testa dal guanciale, sul quale più volte eran cadute le nostre lacrime. Guardò con occhio vivace e con sorpresa di tutti, ed esclamò : – Voglio alzarmi!

La penna non regge a narrare ciò che soltanto un animo di padre può comprendere. Quel corpicino riebbe le forze, riebbe la vita, destando nei medici viva sorpresa per la sua guarigione. Quel piccino si chiama Salvatore, ha il nome del nonno suo, il nonno che aveva amato tanto Vendicio.

Salvatore è ridiventato sano e forte, e torna ogni anno alla spiaggia a cui deve la vita. E Vendicio lo attende come figlio suo diletto, per rinnovare la gioia nei genitori di lui, che lo videro conservato al loro santo affetto, e che nel piccolo Salvatore veggono rinnovato Colui che all’amore dell’arte uni il senso estetico che gli fece ammirare e vivamente desiderare la spiaggia incantevole, paradisiaca di Vendicio.

Enrico Marino ”

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Il Cav. Enrico Marino di Caserta scrisse questo articolo nel 1922 in occasione dell’inaugurazione della Linea ferroviaria direttissima Roma – Napoli
Venne a Formia utilizzando, per le prime due volte, la linea ferroviaria: Sparanise-Formia-Gaeta

Conobbe e frequentò , senza alcun dubbio, lo stabilimento balneare su palafitte di Gennaro Frungillo che iniziò questa sua attività imprenditoriale nel 1890.

Raffaele Capolino Fausto Forcina Photography

VILLA CAPOSELE – FORMIA

VILLA CAPOSELE – FORMIA

La parte più antica della Villa Caposele, oggi Villa Rubino, di Formia risale al I’ sec. a. C.

Si ritiene possa essere stata la dimora Formiana di Marco Tullio Cicerone nato ad Arpino nel 106 a.C. e morto a Formia nel 43 a.C.

Fu il primo dei proscritti condannati a morte per aver contribuito all’uccisione di Caio Giulio Cesare avvenuta il 15 marzo del 44 a.C.

La tragica decisione fu presa dal triumvirato Marcantonio-Ottaviano-Lepido , in un complicato accordo che prevedeva la morte di almeno un parente o un protetto di ognuno dei triumviri.

Fu così che Cicerone, pur protetto da Ottaviano, fu decapitato per essere considerato la mente che organizzo’ l’assassinio di Giulio Cesare.

Sono stato autorizzato da Carmina Scipione autrice delle foto da me postate.

Raffaele Capolino

IL CISTERNONE, IL MURO DI NERVA E LE GROTTE DI S. ERASMO

IL CISTERNONE, IL MURO DI NERVA E LE GROTTE DI S. ERASMO


Tre siti archeologici di Formia dello stesso periodo, forse collegati ad un unico progetto

La prima foto rappresenta un tratto dell’acquedotto romano del Gier che porta le acque a Lione.
Questo muro, molto simile al nostro Muro di Nerva, è in realtà un tratto di acquedotto posto in una situazione orografica in cui ” l’altezza decrescente non giustificava la costruzione sistematica di arcate. Queste, dell’acquedotto del Gier, sono aperte saltuariamente per permettere di superare la costruzione”.

Queste due frasi virgolettate, la somiglianza del muro francese a quello nostro e la medesima situazione orografica dei due luoghi, mi ha fatto pensare che forse anche il nostro sito , che oggi chiamiamo Muro di Nerva , possa essere stato un’opera realizzata per far defluire le acque dal Cisternone di Castellone alle cosiddette Grotte di S.Erasmo per le esigenze portuali e per i rifornimenti idrici necessari alla Flotta romana Tirrenica disposta, nel periodo repubblicano, nel nostro Sinus Formianus.

Finora nessuno aveva dato una plausibile giustificazione ad un’opera così imponente che non poteva essere considerata né un muro privato di confine , né poteva essere definito una struttura di difesa della città romana.

Le cosiddette Grotte di S. Erasmo, da una visione dei luoghi fatta con l ‘amico Jeanpierre Maggiacomo, non sembrano sostruzioni di una domus, ma semplicemente depositi d’ acqua. Il terreno accumulatosi sugli ambienti voltati, non supera lo spessore di 70/80 cm, né si notano sporgenze di opere murarie.

Tutti i sedici ambienti, nove su lato sud e sette su lato ovest, da attuali evidenze murarie risultano essere stati sempre occlusi dalla parte del mare e , pertanto, non potevano essere magazzini di stoccaggio merci.

Gli stessi ambienti dovevano essere intercomunicanti tra loro alla base , dimodoche’ il riempimento di uno solo di essi avrebbe consentito il riempimento dell’intera conserva d’acqua.

Da una lettura del Trattato di Vitruvio sulle cisterne e sugli acquedotti, si può ipotizzare che anche le acque meteoriche potessero essere captate tramite una copertura impermeabile con ” opus signinum ” e con flusso diretto nella cisterna più vicina al muro-acquedotto. Quindi al di sopra delle cisterne doveva esserci solo un terrazzamento in cocciopesto , adatto a captare la maggior quantità di acque meteoriche.

L’ambiente sottostante e più vicino al grande muro , uno dei sedici locali , ha infatti , un ninfeo che molto probabilmente serviva a raccogliere sia le acque piovane sia il flusso incanalato nello ” specus ” posto alla sommità del muro stesso.

” Specus ” che è andato distrutto dal tempo e dalla vegetazione, così come avvenuto sulle arcate dell’Acquedotto Romano di Mola, anch’esso del periodo repubblicano.

Sul lato est delle cosiddette Grotte di S.Erasmo esistono altri evidenti resti di due Ninfei di epoca imperiale , costruiti in epoca successiva con fattura più raffinata , con foro d’uscita in terracotta e , certamente, con utilizzo esclusivo del flusso idrico riveniente dalla conserva d’acqua del Cisternone di Castellone.

Quanto sopra illustrato potrebbe essere oggetto di discussione con maggiori esperti che possano confermare o meno ciò che è scritto in questo post oppure sottoporci ipotesi diverse .

Un convegno che servirebbe anche ad accrescere l’interesse verso il nostro patrimonio archeologico.

Raffaele Capolino

UN ELEMENTO ARCHITETTONICO, FINORA SCONOSCIUTO , IN DUE DISEGNI DI PASQUALE MATTEJ

UN ELEMENTO ARCHITETTONICO, FINORA SCONOSCIUTO , IN DUE DISEGNI DI PASQUALE MATTEJ

Mi riferisco ai due seguenti disegni del nostro grande artista concittadino:

Il monastero di S.Erasmo a Castellone
disegno a matita su carta beige
cm 21,8 x 13,8

e

Veduta di Castellone
Disegno a matita su carta beige
cm 21,8 x 13,8

Di questa particolare costruzione , purtroppo non pervenutaci, ho già accennato in un mio post del 6 settembre corrente anno.

In quella occasione mostrai il disegno del Mattej ( vedi prima foto e suo particolare) e sottoposi alla vostra attenzione una costruzione abbastanza alta con una apertura ad arco nella parte superiore mai evidenziata, se non erro, in dipinti e disegni precedenti.

Mi sembra che la stessa costruzione sia presente, in primo piano sulla sinistra, anche nel secondo disegno che ho postato sia nella sua interezza che nel particolare che ci interessa.

Questo elemento costruttivo appare posizionato sulla strada che porta dalla Torre di Castellone alla Chiesa di S.Erasmo , dove sembra più addossato e forse ne faceva anche parte.

Nel secondo disegno la costruzione , oggetto di questo post, presenta addirittura un passaggio pedonale al piano terra oltre all’apertura nei piani superiori come già detto.

Non mi sembra si sia mai parlato, nel passato, di questo edificio che , se disegnato due volte dal Mattej al quale non potevano sfuggire particolari simili , doveva essere in piedi negli anni 1847, data della maggior parte dei disegni dedicati dall’artista ai luoghi e ai siti archeologici della sua città natale di Formia.

Ovviamente non possono venirci in aiuto neppure foto dell’epoca in quanto la macchina fotografica incomincio’ a diffondersi solo negli anni immediatamente successivi.

Sembrerebbe trattarsi di una Torre campanaria , molto elegante e particolare nella sua forma estetica.

Potremmo anche essere fortunati a ritrovarla su qualche disegno dei numerosi artisti-pittori che hanno soggiornato a Formia intorno a quegli anni.

Nella prima foto a sinistra mi sembra che possa essere stato disegnato un sepolcro romano ora scomparso.

In ogni caso sono sempre curioso di conoscere le vostre impressioni e pareri al riguardo.

Raffaele Capolino

IL COMMERCIO MARITTIMO A FORMIA NEL 1902

IL COMMERCIO MARITTIMO A FORMIA NEL 1902FB_IMG_1572069892224.jpg
Notizie storiche su tre città del Golfo di Gaeta.

I dati sono presi dal testo ” Il Golfo di Gaeta ” scritto da Pietro Gribaudi e stampato a Pavia nel 1906.
Cosi’ scrive Pietro Gribaudi ( 1874 – 1950 ) che fu Professore di Geografia al Regio Istituto Nautico di Elena ( già Borgo di Gaeta) negli anni 1903/05 e Prof. Universitario di Geografia Economica nella Facoltà di Economia e Commercio di Torino
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” Nel 1902 arrivarono a Gaeta 6 piroscafi esteri , i quali sbarcarono 24.596 tonn. di carbone per la R. Marina ; e 266 velieri ( tonn. 5550 ) che sbarcarono 4.113 tonn. di merci varie. I piroscafi partirono vuoti ed i 267 velieri , che in quell’anno lasciarono il porto di Gaeta , imbarcarono solamente 1.059 tonn. di merci.

A Elena arrivarono 299 velieri con 2.066 tonn. di merci e ne partirono 291 con 3.792 tonn. di vino , melegrane, terra rossa ecc.

Più notevole fu il movimento marittimo di Formia. Vi arrivarono 712 velieri , che sbarcarono 11.636 tonn. di merci , e ne partirono 711 con 24.579 tonn. di merci. ”
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In quell’anno il traffico portuale commerciale di Formia , in entrata e in uscita , fu di 36.215 tonn. pari a più di 3,5 volte quello di Gaeta e Elena messi insieme.

Le merci in partenza via mare da Formia, erano il doppio di quelle pervenute da altri luoghi .
Formia aveva quindi un buon livello di autonomia economica.

Gribaudi non precisa quali merci furono imbarcate a Formia e spedite , ma certamente si trattò di laterizi , mattoni , pavimenti, argilla, pasta , olio , formaggi , pesce, vino, acqua ed altro.
Le merci sbarcate: pozzolana, sabbia di fiume , legname per costruzione civili e per natanti.

Se pensiamo poi che nel 1902 le strutture portuali di Formia erano rappresentate da quattro/cinque pontili di legno, c’è solo da rimanere stupefatti dai dati sopra enunciati.

In questo periodo gli abitanti delle tre città del golfo ,sopra menzionate, erano :

Formia abitanti 8.452 ( Formia alta e Formia bassa )
Gaeta ” 5.625 ( era un presidio militare )
Elena ” 11.169 ( Autonoma dal 1897 al 1927 )

Aggiunge ancora Gribaudi:

” Gaeta , Elena e Formia nulla hanno da invidiare ai costanti tepori , ai profumi , ed ai sorrisi della celebrata Costa Azzurra . Bassissima è l’umidità relativa ( 57,30 ) . Dei centri abitati lungo le rive del Golfo di Gaeta, solo Gaeta Elena e Formia sono immuni da malaria ”

Un vero inno d’amore verso queste tre città del Golfo dei primi anni del secolo scorso, scritto da un torinese nato a Cambiano il 27 giugno del 1874 : Pietro Gribaudi

A cominciare dagli anni ’20 a Formia furono costruiti due moli marittimi in muratura e un recente approdo fisso per
accogliere anche navi da crociera.

Nonostante queste strutture portuali fisse, il movimento commerciale marittimo di Formia al momento è , purtroppo , molto vicino a zero

È vero che il trasporto su strada e su ferrovia ha sostituito in gran parte quello marittimo, ma una pur minima e significativa riconversione nel trasporto passeggeri doveva avvenire.

Oltre alle isole di Ponza e Ventotene la nostra città avrebbe potuto collegarsi via mare almeno all’isola di Ischia che, da quando è nato il mondo , è sempre lì davanti alla costa di Formia.

Raffaele Capolino

IL TEATRO ROMANO DI ERCOLANO E QUELLO DI FORMIA

IL TEATRO ROMANO DI ERCOLANO E QUELLO DI FORMIA

Da molto tempo si dice che il Teatro romano di Formia fosse stato molto simile a quello di Ercolano.

Entrambi i Teatri, sicuramente costruiti nello stesso periodo, hanno avuto storie diverse e incredibili.

Quello di Formia, ridotto a meno di un terzo per la sola summa cavea ma con visibili tracce di strutture teatrali, mentre quello di Ercolano, sepolto completamente dal Vesuvio, è stato individuato nel 1710 , studiato ma ancora avvolto dalle ceneri e dalle pomici del Vesuvio.
Il Teatro di Ercolano, con un diametro di mt 54, funzionò per appena un secolo fino al 24 ottobre del 79 d. C..

È considerato il teatro romano meglio conservato !!!!!!

Quello di Formia credo sia rimasto attivo per complessivi sei/sette secoli. La sua parte di cavea pervenutaci è ancora adibita a civili abitazioni.

Per il Teatro di Ercolano è stata rinvenuta una importante iscrizione che ci fa conoscere i nomi di chi lo ha finanziato e di chi lo ha progettato (foto C).

Lucio Annio Mammianus Rufus , dette incarico all’architetto Publio Numisius di costruire il Teatro che vediamo riprodotto nei modelli di cui alle foto A e B.

Ma chi era Publio Numisius ?

Era uno dei tre architetti amici di Marco Vitruvio Pollione che li cita con queste parole nella prefazione del suo trattato De Architettura :

” Già mi sono occupato assieme a M. Aurelio, a P. Numisius e a Cneo Cornelio dell’allestimento di baliste, di scorpioni e di altre macchine da guerra e della relativa manutenzione ”

Il nome di questo architetto è stato riportato in modo vario nei testi antichi vitruviani : Numisius , Numidius , Minidus , Minidius . Ma tutti con il prenome Publius .

Questo amico di Vitruvio , forse fu un nipote o pronipote di Massinissa re della Numidia sconfitto da Cesare .
Visse per poco tempo in casa di Cesare e poi in casa di Azia madre di Ottaviano infine divenne amico di Vitruvio che afferma di aver coabitato per diverso tempo con questo suo compagno di studi.

Dalle Memorie della Reale Accademia :

“M.Aurelio , P. Numisio ( oppure Numidio, Minidio, Mussidio, Numidio) e Cneo Cornelio) i quali tutti appariscono uomini Romani , siccome dotati di gentilizio e prenome, e tali dovevan essere , soldati essendo od almeno aggiunti agli eserciti. È opinione di parecchi che codesto Numisio sia l’architetto del Teatro Ercolanense e certo che egli poté edificare quel Teatro, come Vitruvio la Basilica di Fano.”

È venuto fuori questo particolare interessante che ci fa ancora più credere nella formianita’ di Marco Vitruvio Pollione supportata da molti storici tra cui Galiani, Baldi, Poleni e Tiraboschi .

Il Dizionario storico di architettura così recita in proposito:

” La più probabile opinione sul luogo della nascita di Vitruvio sta in favore di Formio ( è scritto proprio così ) città della Campania ( oggi Mola di Gaeta ) ……………….e più facile riesce congetturarlo dalle tante antiche iscrizioni in diversi periodi di tempo scoperte nelle ruine di Formio in cui parlasi di questa famiglia “.

In un testo antico Formia è definita non solo città dei Vitruvii, ma anche città dei Numisii. ( ved. Sezione commenti)

Si sta pensando di realizzare una bacheca da sistemare nella piazzetta all’interno del nostro Teatro romano, con tutto ciò che sappiamo e con una raffigurazione anche in 3D facilitata dal plastico di Ercolano.

Anche questo è un piccolo tassello della storia della nostra città.

Raffaele Capolino

LA “FORMIANITA’ ” DI PASQUALE MATTEJ DESUNTA DA UN SUO SCRITTO

LA “FORMIANITA’ ” DI PASQUALE MATTEJ DESUNTA DA UN SUO SCRITTO

Nel giugno del 1877 , a due anni dalla sua morte avvenuta a Napoli, Pasquale Mattej venne a conoscenza che a Formia era stata trovata una statua femminile alta cm 90, per cui si recò nella sua amata città natale , forse per l’ultima volta , per disegnare il reperto , come era solito fare.

Il disegno fu realizzato il 15 giugno del 1877 e la statua , come capito’ spesso, andò persa.

Fu in quella occasione che ebbe a scrivere quanto segue :

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” A Formia poi, negli anni precedenti, il Governo Borbonico si arrogava la proprietà di qualunque antichità si rinvenisse per arricchire il Museo di Napoli; non solo ma si arrogava altresì il diritto di ampiamente scavare e ricercare in quei luoghi ove si avesse trovato qualche cosa , o se ne avesse sentore.

Senza la rabbia dei Saraceni, senza la predetta circostanza se Formia potesse rendere alla luce tutti i capi d’arte che racchiudeva ed ancora racchiude, Formia sarebbe tutto un museo da un capo all’altro, e più sontuoso di Pompei.

Se ivi dimoravano provinciali, a Formia villeggiavano i principali romani. ”

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Le foto e i riferimenti sono presi dal libro di Giorgio Ottaviani dedicato al nostro grande Artista Pasquale Mattej ( Formia 1813 – Napoli 1879 ).

Raffaele Capolino

LE TORRI DI CASTELLONE – FORMIA

LE TORRI DI CASTELLONE – FORMIA


Quasi tutti sono convinti che sono solo due, ma in realtà sono sei . E fino agli anni sessanta erano sette.

Di solito si trova scritto che delle dodici originarie torri di Castellone , ne sono rimaste soltanto due ,una di forma ottagonale, l’altra definita “dell’Orologio” per la presenza di un orologio maiolicato settecentesco.

In realtà le cose stanno diversamente perché chi è nato a Castellone, di torri ne conta sei di cui quattro adibite completamente ad abitazioni, e una parzialmente, ma sempre comunque ben configurabili in originarie torri.

Esaminiamole singolarmente.

Foto 1 Torre ottagonale di Castellone, alta mt. 25 e fatta costruire da Onorato I’ Caetani nel 1377, con tre stratificazioni diverse .
Una base poligonale romana, un’altra di età repubblicana e un Torrione ottagonale costruita dai Caetani sulla sommità dell’arce romana. È l’unica non abitata.

Foto 2 Torre “dell’orologio” detta anche Torre degli Spagnoli .Presenta in alto un orologio maiolicato del 1700 ed era l’ingresso sud di Castellone.
È abitata parzialmente nei due piani inferiori tondeggianti lato ovest che, a mio parere, dovevano sorreggere una struttura simile e di uguale altezza alla struttura muraria pervenutaci provvista di orologio in maiolica.

Foto 3 Torre cilindrica incorporata nelle mura in Via Gradoni del Duomo, quasi affiancata alla Torre ottagonale e abitata.

Foto 4 Torre cilindrica , sempre in Via Gradoni del Duomo a più piani ed abitata con ingresso in Vico della Torre.

Foto 5 Torre cilindrica abitata lato est – ferrovia con ingresso in Via della Torre.

Foto 6 Torre circolare ( quella con pensilina di colore rosso )con strutture medievali difensive e ponte di collegamento con l’interno del castello.
Anche questa è abitata con ingresso all’inizio di Via della Torre. Nella sottostante tettoia ci sono almeno altri tre metri della stessa Torre visibile in questa foto.
È la parte di mura perimetrali rimasta straordinariamente uguale a come doveva essere diversi secoli orsono.

Foto 7 La stessa Torre precedente , per una più facile e migliore individuazione.

Foto 8 Torre circolare in Via Rampa Castello , visibile fino al 1960 quando fu abbattuta senza alcun valido motivo dal Comune per costruire più facilmente una scalinata.
È visibile, attualmente, solo la sua base circolare ed era abitata fino agli anni sessanta.

In pratica su sei attuali torri , cinque sono abitate allo stesso modo di come e ‘ abitato il Teatro Romano in Via Gradoni del Duomo.

Questa è la situazione delle torri di Castellone, nota a chiunque sia nato e abbia vissuto in questo rione.

Raffaele Capolino

ICONOGRAFIA DELL’IMPERATORE ROMANO ANTONINO PIO ( 86 – 161

ICONOGRAFIA DELL’IMPERATORE ROMANO ANTONINO PIO ( 86 – 161FB_IMG_1571720035272.jpg )

L’immagine più conosciuta di questo imperatore romano è legata alla nostra città.

La testa in marmo lunense , fu trovata a Formia e solo nel dopoguerra fu dissepolta dalle macerie dell’Antiquarium voluto dal Podestà Felice Tonetti.

Assieme ad altre due importanti teste femminili raffiguranti due sorelle di Caligola, Drusilla e Julia Livilla, fu trasferita al Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo a Roma, ove è tuttora con il numero d’inventario 627.

Non fu trovato il resto della statua che doveva avere un’altezza di m. 1,98 , essendo la testa alta m. 0,34 .

La testa formiana è caratterizzata da una mossa capigliatura a riccioli disposti in mezzo alla fronte ” a tenaglia” e ” a coda di rondine ” . Il volto è giovane anche se con espressione pensosa ed è provvisto di morbida barba .
Fu il secondo imperatore ad essere presentato con barba , dopo il suo padre adottivo Adriano che dette origine a questo costume .

La sua bellezza ha fatto sì che tutti gli altri volti ritrovati con le stesse caratteristiche vennero chiamati del ” Tipo Formia ” . Esistono altri due archetipi di volti di Antonino Pio , uno è detto del ” Tipo greco o a Croce ” l’altro non ha nome e il volto è raffigurato ingrossato e vecchio .

Il volto del ” Tipo Formia ” , che lo ritroviamo in altre diciannove copie rinvenute in altri luoghi , è considerato da tutti il più importante , il più giovane e realizzato con estrema accuratezza .

Purtroppo il resto della statua non ci è pervenuto , forse è ancora sepolto in qualche angolo della nostra città oppure è , in bella mostra, in casa di qualche collezionista.

Raffaele Capolino